During these years, but especially in this last period, I have often wondered how I could, wanted or should have made my work grow or evolve.
I started a few years ago out of creative necessity, let's also put it financially, and I never expected to reach the goals achieved, but I struggled so much, I suffered, I made and sometimes imposed sacrifices, perhaps unnecessary, but certainly useful, after which I was involved and overwhelmed by what is called the "fashion system".
I was thrilled and honored to finally be part of something big and important, something in which I finally felt free to get noticed and emerge, even if in an infinitesimal way.
The blow I received later, that feeling of abandonment and being swallowed up in a too crowded world, was certainly very painful, but necessary to define who I am, what I want and what I really need.
They have been very difficult and complicated years, but thanks to them surely now I am more aware of the fact that maybe that world is not what I was looking for.
As my conscience as an artist matured, I accepted the fact that it is a fashion system focused more on a business model and less and less expressive (I don't mean to belittle anything or flatten the various levels of which this system is composed), but very often I had the sense of feeling inadequate, not because I did not feel up to what I was creating, but because the world around me was running at such a speed that it did not allow me to stop and understand what I was actually doing or where I was going.
So at a certain point I exploded, and I let myself go, fall, it was ugly and painful, but at the same time useful.
I realized that I want to do what I do to be happy, certainly not to be rich or famous, I preferred to cultivate my talent and not my success.
In doing so, I began to feed that flame that had never gone out, but had certainly faded, precisely because of a discomfort of not belonging.
I accepted the fact of not being made for fast paces, absurd requests (I'll talk about this soon) or devaluations of my work to be inserted in the global market, I was given an opportunity, the opportunity to believe in my art and in my individuality.
I will continue to create more than before, but now with the knowledge that I am lucky enough to love my job and work with my dreams.
Durante questi anni, ma soprattutto in questo ultimo periodo mi sono spesso chiesto come avrei potuto, voluto o dovuto fare crescere o evolvere il mio lavoro.
Ho iniziato ormai qualche anno fa per necessità creativa, mettiamo anche economica, ma mai mi sarei aspettato di di raggiungere i traguardi conquistati, ho però faticato tanto, ho sofferto, ho fatto e a volte imposto dei sacrifici, magari non necessari, ma sicuramente utili, dopodiché sono stato coinvolto e travolto da quello chiamato “sistema moda”.
Ero entusiasta e onorato di essere finalmente parte in qualcosa di grande ed importante, qualcosa in cui finalmente mi sentivo libero di farmi notare e di emergere, anche se in modo infinitesimale.
La botta che ricevetti in seguito, quella dell’abbandono e di essere fagocitato in un mondo troppo affollato, fu sicuramente molto dolorosa, ma necessaria per definire chi sono, quello che voglio e quello di cui ho davvero bisogno.
Sono stati anni molto difficili e complicati, ma grazie ad essi sicuramente ora sono più cosciente del fatto che quel mondo forse non è quello che stavo cercando.
Maturando la mia coscienza di artista, ho accettato il fatto che è un sistema moda incentrato più su un modello di business e sempre meno espressivo (non intendo sminuire alcunché o appiattire i vari livelli di cui questo sistema è composto), ma molto spesso avevo il sentore di sentirmi inadeguato, non perché non mi sentivo all’altezza di quello che stavo creando, ma perché il mondo intorno a me correva a una velocità tale che non mi permetteva di fermarmi e capire quello che effettivamente stavo facendo o dove stavo andando.
Cosi ad un certo punto sono esploso, e mi sono lasciato andare, cadere, è stato brutto e doloroso, ma allo stesso tempo utile.
Ho capito che voglio fare quello che faccio per essere felice, non di certo per essere ricco o famoso, ho preferito coltivare il mio talento e non il mio successo.
Così facendo ho ricominciato ad alimentare quella fiamma che non si era mai spenta, ma sicuramente si era affievolita, proprio a causa di un disagio di non appartenenza.
Ho accettato il fatto di non essere fatto per ritmi serrati, richieste assurde (di questo parlerò presto) o svalutazioni del mio lavoro per essere inserito nel mercato globale, mi è stata data una opportunità, l’opportunità di credere nella mia arte e nella mia individualità.
Continuerò a creare più di prima, ma ora con la consapevolezza che ho la fortuna di amare il mio lavoro e di lavorare con i miei sogni.
Comments